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Da Lunedì a Venerdì
In data 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi di Impresa che unifica, in un solo corpo normativo, la disciplina relativa alle regolazioni dello stato di crisi e di insolvenza di ogni tipologia di debitore (non solo gli imprenditori commerciali ma anche i consumatori e gli altri debitori c.d. civili).
Il Codice è frutto di un lungo percorso, iniziato con la Legge Delega n. 155 del 19 ottobre 2017 e terminato con l’emanazione del Decreto Legislativo n. 83 del 17 giugno 2022, che ha recepito i contenuti della Direttiva UE 2019/2013 (c.d. Direttiva Insolvency).
Si premette solo che nelle originarie previsioni l’entrata in vigore delle disposizioni previste nel Codice era fissata al 1 settembre 2021; l’introduzione è stata ritardata a causa degli effetti indotti dalla pandemia sul sistema economico.
Tra le novità di rilievo, che verranno approfondite nel corso del presente e dei successivi lavori previsti dallo Studio, oltre all’abolizione del termine “fallimento” in luogo di un meno brutale “liquidazione giudiziale”, si segnalano:
L’entrata in vigore delle norme contenute nel Codice della Crisi è eterogenea, in particolare:
La crisi è un fenomeno che un tempo veniva giudicato di carattere straordinario mentre oggi è classificato spesso come un evento ciclico o ricorrente nella vita dell’impresa. L’azienda deve quindi sviluppare la capacità di prevenire questo stato ricorrendo a strumenti adeguati che possano percepirne i primi sintomi per poter intervenire immediatamente prima che la stessa possa degenerare in insolvenza ed in conseguenti situazioni problematiche quali piani di risanamento o addirittura la chiusura dell’attività.
Per quanto detto, il fattore temporale nella gestione e soluzione della crisi è un elemento determinante, in quanto un ritardo, o peggio ancora, la mancata volontà di riconoscere lo stato di crisi può sfociare in una situazione irreversibile.
Il Codice della Crisi d’Impresa definisce la crisi come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza da parte dell’azienda di generare flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate.
Il concetto di crisi aziendale, di natura puramente finanziaria, si può manifestare attraverso fenomeni sia di natura esogena (es. crisi di settore) che di natura endogena. Le casistiche di quest’ultima categoria possono essere molteplici: struttura finanziaria sbilanciata (ad esempio perché si sono fatti investimenti utilizzando coperture a breve termine o mediante liquidità disponibili), un’errata gestione del circolante commerciale (dilazione ai fornitori superiori ai giorni di incasso da clienti, gestione delle scorte poco efficace, ecc) oppure più semplicemente la conseguenza di continue perdite economiche generate da una gestione poco efficiente.
La definizione fotografa comunque una situazione cronologicamente anteriore a quella di insolvenza, (che ricordiamo è il presupposto del fallimento dell’impresa) definita dalla superata Legge Fallimentare come “incapacità patrimoniale del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”; la dottrina identifica infatti la crisi nello stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile (se non risolta) l’insolvenza futura del debitore. Lo stato di insolvenza rappresenta quindi l’esito finale di una crisi non risolta e divenuta irreversibile.
Sotto il profilo aziendalistico, mentre l’insolvenza rappresenta sempre una crisi, non è automatico che qualsiasi crisi comporti l’insolvenza: l’azienda può infatti affrontare più momenti di crisi, anche profondi, senza che questi assumano carattere strutturale o definitivo.
Mentre l’insolvenza può essere accertata prevalentemente ex-post, anche all’esterno, attraverso la lettura di dati contabili consuntivi (es. bilanci), la crisi (non ancora cristallizzata e dunque non ancora originante l’insolvenza) presuppone una visione non più storica ma prospettica , tesa ad individuare l’incapacità in futuro di adempiere non solo alle obbligazioni già assunte, ma anche a quelle prevedibili nel normale corso dell’attività.
Da quanto detto consegue che l’accertamento della crisi, pur non escludendo il ricorso a dati contabili e/o consuntivi, richiede che questi siano valorizzati nella prospettiva della loro capacità di segnalare futuri squilibri di carattere finanziario.
In particolare il riformato art. 3 del Codice della Crisi prevede espressamente che è necessario :
In merito ai primi due punti, risulta evidente come ai fini di una gestone tempestiva della crisi sia necessario che l’imprenditore adotti un sistema di rilevazione anticipata dei rischi significativi, che possano minacciare l’equilibrio finanziario e la sopravvivenza dell’impresa.
Tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso l’istituzione di un’adeguata pianificazione finanziaria, che attraverso il bilancio di previsione ed il connesso sistema di indicatori patrimoniali, economici e finanziari analizzati in chiave prospettica, consenta di verificare con tempestività i sintomi della crisi.
Per la rilevazione degli squilibri di carattere patrimoniale-economico e finanziario, di cui al precedente punto 1), lo standard minimale, soprattutto per imprese strutturate, dovrebbe prevedere come punto di partenza la redazione annuale dei seguenti strumenti:
Da questo set documentale è possibile ricavare facilmente alcuni indicatori che possono fotografare sinteticamente lo stato di salute della gestione confrontandola con la media di settore in cui opera l’azienda.
Un’efficace diagnosi ad avviso dello scrivente potrebbe essere ad esempio effettuata valutando l’andamento e la variazione nel tempo dei cinque indicatori identificati dal Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili nel 2019, confrontandoli con la media del settore, ed in particolare:
Indice di sostenibilità degli oneri finanziari = OF/Fatturato
Indice di adeguatezza patrimoniale = PN/Debiti Totali
Indice di ritorno liquido dell’attivo = Cash-flow/ Totale attivo
Indice di liquidità = Attivo Breve / Passivi Breve
Indice di indebitamento previdenziale e tributario = Debiti F-P / Tot. Attivo
La verifica della sostenibilità dei debiti e la presenza di concrete prospettive di continuità aziendale almeno per i successivi 12 mesi, di cui al precedente punto 2) può essere efficacemente verificata attraverso il prospetto annuale previsionale dei flussi di cassa o di tesoreria (vedi allegato) di compilazione facile ed intuitiva.
La corretta compilazione del prospetto in esame consente di calcolare agevolmente il DSCR (Debt Service Coverage Ratio), indicatore considerato di fondamentale importanza nel calcolo della sostenibilità dell’indebitamento aziendale.
DSCR = Flussi cassa attivi nel periodo di riferimento / uscite previste nel periodo
L’impresa rispetta il requisito di continuità aziendale nei successivi 12 mesi a condizione che i flussi di cassa programmati in entrata (per incassi di ricavi da attività tipica, ma anche per apporto soci o per finanziamenti ottenuti) siano superiori alle uscite previste nel periodo considerato per rimborso dei debiti con scadenza nel periodo e per quelli già programmati.
Per le imprese di minori dimensioni e quindi meno strutturate, la dottrina ritiene sufficiente un monitoraggio della situazione economica basato sulla vigilanza dell’EBITDA previsionale e di quella finanziaria mediante la compilazione del prospetto di tesoreria di cui sopra.
Il Codice della Crisi identifica inoltre alcuni “segnali di allarme” (punto 3 del precedente Par. 1.3) al cui verificarsi lo stato di crisi dell’azienda viene presunto.
In particolare:
Al ricorrere di una delle circostanze elencate nel punto d), l’Ente trasmette all’impresa debitrice una comunicazione per precisare l’inadempimento ed invitare quest’ultima, se ne ricorrono i presupposti, a presentare l’istanza per la nomina dell’Esperto della composizione negoziata della crisi.
E’ doveroso precisare che tuttavia il debitore “allertato” non è obbligato a seguire l’invito dell’Ente pubblico: si ritiene che la segnalazione abbia il solo scopo di invitare l’imprenditore a verificare se il mancato pagamento dipenda da difficoltà finanziaria o da altre cause, e nell’eventualità della prima circostanza, se la stessa sia ritenuta di difficile risoluzione, e solo in questa ipotesi l’impresa dovrebbe seguire l’invito dell’Ente.
Va da sé che se l’inadempimento dipendesse da uno stato di crisi e l’imprenditore rimanesse inerte all’invito, le responsabilità in caso di futura insolvenza sarebbero evidenti.
Coerentemente con la centralità attribuita all’Organo di controllo nella segnalazione degli elementi di crisi aziendale, sono stati ridotti, già a partire dalle Assemblee di approvazione dei bilanci chiusi al 31.12.2022, i limiti dimensionali stabiliti dall’art. 2477 del codice civile che rendono obbligatoria in una SRL la nomina dell’Organo di controllo (Collegio Sindacale/Sindaco Unico o Revisore Unico).
Le variazioni sono raffigurate nella successiva tabella:
LIMITI DIMENSIONALE | VECCHIO LIMITE | NUOVO LIMITE |
ATTIVO | ||
PATRIMONIALE | 4.400.000 | 4.000.000 |
RICAVI | 8.800.000 | 4.000.000 |
N. MEDIO | ||
DIPENDENTI | 50 | 20 |
Vi è inoltre una differenza nelle regole di innesco: con la superata normativa era necessario il superamento di almeno due indici per due anni consecutivi per l’obbligo di nomina dell’Organo di controllo; con il novellato art. 2477 c.c. è sufficiente il superamento di almeno un indice per due anni consecutivi.
Ne risulta che le SRL che negli esercizi 2021 e 2022 abbiano superato almeno uno dei limiti esposti in tabella, saranno tenute a nominare l’Organo di controllo già con l’approvazione del bilancio dell’esercizio chiuso al 31.12.2022.
La circostanza che più società di capitali siano tenute a nominare l’Organo di controllo è importante ai fini del monitoraggio della cisi d’impresa, perché il Codice stabilisce che il collegio sindacale e, se presente, la società di revisione devono «segnalare immediatamente» all’organo di amministrazione l’esistenza di «fondati indizi della crisi» (art. 14, comma 1, CCII), mediante l’invio di una comunicazione «motivata, fatta per iscritto, a mezzo posta elettronica certificata.
Con la stessa segnalazione l’organo di controllo deve fissare un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese per porre rimedio allo squilibrio.
Si tratta di doveri di vigilanza che richiedono per i sindaci il rispetto dell’art. 2403 c.c.. In particolare il Collegio Sindacale risponde in proprio per eventuali ritardi nella segnalazione all’Organo amministrativo circa l’esistenza dei sintomi prodromici allo stato di crisi.
È doveroso al riguardo sottolineare che il comportamento inerte dell’organo di amministrazione non esonera dalla responsabilità i sindaci per l’omissione degli amministratori. Di conseguenza, al verificarsi di tale ipotesi è auspicabile la convocazione dell’Assemblea dei soci ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c., per informarla sia dell’inerzia degli amministratori, sia delle verifiche e degli accertamenti svolti durante la propria attività di vigilanza, sia dello stato di squilibrio della società.
Dinanzi ad un’eventuale ritrosia anche dei soci, il dissidio tra gli organi dovrebbe essere portato all’attenzione del Tribunale, terzo e indipendente, tramite il ricorso ex art. 2409 c.c..
A conclusione di questo primo intervento, si riporta fedelmente quanto espresso da autorevole fonte dottrinale (Il Sole 24 Ore del 7 luglio 2022 – Titolo: “Il paracadute degli adeguati assetti – Non basta il controllo basato solo sull’analisi del bilancio e scostamento del budget) : “Riguardo alla crisi d’impresa siamo in una nuova era e si impone un cambio di passo nella gestione aziendale da parte degli imprenditori e nei contenuti dei servizi offerti da parte dei consulenti e collaboratori dell’azienda. Per tutti sarà necessario mettere al centro del proprio operato la valutazione ed il controllo degli equilibri economico-finanziari dell’impresa, non soltanto per assolvere un preciso obbligo di legge, ma soprattutto per preservare la continuità aziendale.
Appare chiaro a tutti come non si possa mai più prescindere da una corretta e sana gestione aziendale e questo, in primis, comporta il regolare assolvimento degli obblighi di carattere fiscale. Fino alla fine degli anni Novanta il mancato pagamento dell’Iva, ad esempio, era qualcosa di assolutamente non contemplato nella normale prassi gestoria. Ciò che è cambiato è la complessità dell’ambiente in cui operano le imprese, cosa che obbliga ad una crescita esponenziale della cosiddetta “cultura aziendale”.
Laddove non sono giunti ancora molti imprenditori è giunto il legislatore, il quale, con l’art. 2086 del codice civile, dota l’impresa, attraverso adeguati assetti amministrativi e contabili, di un sistema di allerta in grado di intercettare possibili indizi di crisi”.
Questo è appunto l’argomento del prossimo intervento.